domenica 15 aprile 2012

Gastrononia Sannita il croccantino

San Marco dei Cavoti è un comune del Beneventano che vede il suo nome legato a quello della produzione di un gustosissimo torrone, molto croccante e ricoperto di cioccolato fondente detto, per l’appunto Croccantino di San Marco dei Cavoti.
Si ottiene disponendo nella torroniera il miele e lo zucchero e riscaldandola fino a 80 gradi.
La torroniera viene fatta girare a marcia veloce e si aggiunge l’albumina sciolta in acqua, preparata il giorno precedente; in seguito si riporta la torroniera alla velocità minima e si aggiungono, spolverando, lo zucchero a velo, la vaniglia e le mandorle opportunamente preriscaldate in modo che abbiano la stessa temperatura dell’impasto.
Il prodotto viene steso negli appositi stampi, e poi tagliato quando è raffreddato al punto giusto.
Anche il torrone croccantino viene prodotto da numerose aziende del Beneventano che rispettano le antiche regole tradizionali di produzione ma hanno esportato il prodotto fuori dai confini regionali, rendendolo una prelibatezza che si può gustare in tutta Italia.
Il Croccantino di San Marco dei Cavoti è ormai il simbolo della creatività imprenditoriale di questo territorio, dove i maestri torronai hanno saputo derivare dal “torrone croccante”, anticamente realizzato dalle massaie campane, una delicata prelibatezza, nota agli estimatori come squisito peccato di gola.

Benevento La fontana Chiaromonte

Creato nel 1806 principe di Benevento, Progettata dall'architetto Nicola Colle De Vita, è costituita da una vasca circolare al cui centro si erge un obelisco, sulla schiena di quattro leoni dalla cui bocca sgorga l'acqua. L'obelisco era sormontato da un globo con sopra l'aquila imperiale, emblema della Francia napoleonica, in bronzo. Alla facciata meridionale dell'obelisco si leggeva l'iscrizione: Carolo Maurizio / Optimo Principi / Pro publico curato bono Cives Beneventani / D. /A. MDCCCIX. La realizzazione dell'opera costò 2.000 ducati. La piazza, dedicata al Talleyrand (il suo nome era piazza Carlo Maurizio), fu donata dal principe al Comune con atto pubblico, il 21 aprile 1810.
Dopo il 1815, con l'avvento della Restaurazione, l'epigrafe fu poi raschiata via, anche se qualche traccia si scorgeva sotto la scritta Fontana Chiaromonte - 
Pio VII con cui la fontana fu dedicata al Papa (la parola fontana, invece che col t, era stata incisa incisa col d; fu corretta in seguito). All'aquila imperiale venne sostituito il triregno dei papi con le somme chiavi e, successivamente, questo fu sostituito con lo stemma d'Italia.

Benevento e il liquore Strega

Il Liquore Strega, è tra i più famosi liquori italiani, unico e inconfondibile per il suo sapore, grazie all’esclusivo uso di ingredienti naturali.
Dal gusto fine e vellutato, il Liquore Strega è amato per la sua versatilità che lo rende ideale in ogni momento della giornata. Può essere apprezzato liscio o ghiacciato, sulla frutta o unito a dessert, gelati o cioccolata calda e costituisce anche la base di molti famosi e raffinati cocktails.
La ricetta per la produzione dello Strega è segreta.
È conosciuta solo da poche persone che preparano gli ingredienti numerandoli e riponendoli in cassetti di legno, gli operai che poi preparano la miscela delle 70 erbe e spezie, che vengono selezionate da tutto il mondo, e caratterizzate ciascuna da particolari proprietà organolettiche ne sanno solo i quantitativi degli ingredienti numerati ma non ne conoscono la natura.
Il suo caratteristico colore giallo deriva dall'aggiunta del prezioso zafferano al distillato di erbe aromatiche.
Il liquore Strega,viene stagionato per un lungo periodo in tini di rovere per ottenere una perfetta sintesi di tanti differenti aromi, ricavando così un distillato dalla gradazione di 40%vol. E’ solo dopo il completamento di questa stagionatura che il liquore viene imbottigliato e distribuito in tutto il mondo.
Il suo nome deriva evocando l’antica leggenda  che nel 1860  narra la città di Benevento quale ritrovo di tutte le streghe del mondo,che intorno ad una antica noce si riunirono per ballare e bere una bevanda dai poteri magici...questa bevanda si presume che fosse questo liquore, da qui nasce Il liquore Strega.

Apollosa fra la sagra del maialetto e antiche tradizioni

Apollosa è un comune italiano di 2.716 abitanti della provincia di Benevento in Campania.
La città si trova sulla destra della vecchia via Consolare, che da Benevento va nella valle Caudina.
Nacque forse in epoca romana lungo la via Appia. Secondo lo storico Alfonso Meomartini la forma originale del nome fu "La pelosa", "Lapillosa", "Pellosa", "Pelusia", "Lapelusa", "Apellosa" ed infine "Apollosa".
L'abitato sorse sulla cima di una piccola collina che dominava la via (in località "Terravecchia", dove prima della prima guerra mondiale si trovavano un mulino, la "Taverna del Passo" e una cappella dedicata a San Domenico.
L'iscrizione di Turpilio del VI secolo la cita come urbs ("città").
Sotto i Normanni fu in possesso dei baroni di Fenucchio, della chiesa di Santa Sofia a Benevento, ai Frangipane, ai Della Leonessa.
Nel 1460 era in possesso alla famiglia dei Della Leonessa: avendo questi parteggiato per Giovanni d'Angiò, il re di Napoli Ferdinando I distrusse l'abitato e questo fu in seguito spostato nella sede attuale.
In seguito il feudo fu ancora in possesso dei Caracciolo, dei Ricca, dei Piscicelli, degli Spinelli e dei Langellotti.
Vi è stato rinvenuta una colonna miliare della via Appia, datata al 203 (Settimio Severo).
Si conservano i ruderi dell'antico castello e un palazzo baronale.
Le chiese di interesse sono quelle di Santa Maria Assunta, di San Giuseppe e di San Giovanni.
Nel territorio comunale si producono: ulivo, vite, frumento, legumi, foraggi, frutta, legname.
Apollosa dista dal capoluogo di provincia circa 10 km.
Il comune ha una superficie agricola utilizzata in ettari (ha) di 477,45
Ad Apollosa a metà Settembre si rinnova ogni anno l’appuntamento con la tradizionale Sagra del Maialetto organizzata dalla Pro Loco di Apollosa.
 Gli stand gastronomici proporranno succulenti pietanze preparate secondo antiche ricette: tagliatelle al sugo di maiale, cosciotti e filetti di maiale al forno, carne arrostita, salsicce, prosciutti e salami paesani a cui accostare ottimi vini della zona come l’Aglianico, la Falanghina e la Coda di Volpe.
Il protagonista della serata sarà il gustoso maialetto al forno preparato da personale qualificato secondo la tradizionale ricetta locale. Dopo la fase di macellazione i maialetti vengono tenuti in celle frigorifere per la
necessaria frollatura. Trascorse 24 ore vengono trasportati in una sala attrezzata, dove vengono lavati accuratamente con acqua e aceto di vino per prepararli alla successiva salatura e profumazione con spezie aromatiche. Dopodiché il maialetto viene sistemato in speciali teglie da forno per la successiva cottura. La manifestazione sarà allietata da spettacoli musicali e verranno allestiti stand per l'esposizione e la vendita di oggetti d'arte e di artigianato sannita.
“Una celebrazione incentrata unicamente attorno al sentimento religioso è la festa patronale di Sant'Anna che si festeggia il 26 luglio.
Dopo cento anni, con il simulacro di S. Anna si ripercorrono le vie del paese come nel 1911 quando lo stesso simulacro fu portato in processione per sconfiggere il colera: un miracolo sempre vivo nella memoria apollosana.
Nel 1911 il colera colpiva la provincia di Benevento; la prima vittima ad Apollosa ci fu l’8 Agosto e quando i 26, 27, 28 e 29, i decessi si erano accentuati, la mattina stessa del 29 Agosto gli Apollosani si affidarono alla Santa Protettrice, alla Sua intercessione verso Dio, con fede La portarono per le strade del paese, con fede riconobbero, alla Sua intercessione e non al caso, il cessare improvviso delle morti.
Questo è quanto gli annali raccontano, questo è quanto la memoria apollosana ci tramanda, questo è motivo di orgoglio, di commozione e di fede ad ogni ricorrenza ed in particolar modo in questa ricorrenza del centenario. I preparativi per questa particolare ricorrenza, da tempo evidenti in parrocchia, si avvertono in tutto il paese.
Un interessamento sempre crescente guidato dal parroco Don Vincenzo Capozzi.

Padre Pio e i suoi miracoli

Si definisce miracolo (dal latino «miraculum», cosa meravigliosa) un evento a volte attestato, a volte asserito, difficilmente spiegabile secondo cause conosciute, e quindi attribuito a qualche causa paranormale, e specificamente ad un intervento soprannaturale o divino, e che appare svolgersi in contrasto con le leggi naturali. Nel linguaggio comune, per estensione, il termine miracolo indica anche un evento straordinario, che desta meraviglia. Nel Cristianesimo la definizione tecnica di "miracolo" è quella di "interruzione della legge naturale ad opera di un intervento divino;
per questo motivo appare vano e riduttivo cercare di spiegare i veri miracoli con spiegazioni scientifiche o pseudo-tecniche, perché essi sono di fatto non spiegabili secondo le leggi scientifiche.
I miracoli hanno accompagnato Padre Pio da Pietrelcina nel corso della sua vita. Padre Pio invitava sempre i miracolati a ringraziare il Signore quale unica fonte delle grazie ricevute.
Ecco alcuni miracoli riconosciuti dalla Chiesa…
Risale al 1908 quello che fu definito uno dei primi miracoli di Padre Pio. Trovandosi nel convento di Montefusco, fra Pio pensò di andare a raccogliere un sacchetto di marroni da mandare alla zia Daria, a Pietrelcina, che gli aveva sempre dimostrato un grande affetto. La donna ricevette le castagne, le mangiò e conservò il sacchetto per ricordo.
Qualche tempo dopo, una sera, facendosi luce con una lampada ad olio, zia Daria andò a rovistare in un cassetto dove il marito custodiva la polvere da sparo. Una scintilla appiccò il fuoco ed il cassetto esplose investendo la donna in pieno volto. Urlando di dolore zia Daria prese dal comò il sacchetto che aveva contenuto le castagne di fra Pio e lo pose sul viso nel tentativo di porre sollievo alle ustioni. Immediatamente il dolore scomparve e sul volto della donna non restò alcun segno delle bruciature.
La signora Cleonice - figlia spirituale di Padre Pio raccontava: - "Durante l'ultima guerra mio nipote fu fatto prigioniero. Non ricevemmo notizie per un anno. Tutti lo credevano morto. I genitori impazzivano dal dolore.
 Un giorno la madre si butto ai piedi di Padre Pio che stava in confessionale - ditemi se mio figlio è vivo. Io non mi tolgo dai vostri piedi se non me lo dite. - Padre Pio si commosse e con le lacrime che gli rigavano il volto disse - "Alzati e vai tranquilla". Alcuni giorni dopo, il mio cuore, non potendo sopportare il pianto accorato dei genitori, mi decisi di chiedere al Padre un miracolo, piena di fede gli dissi: - "Padre io scrivo una lettera a mio nipote Giovannino, con il solo nome, non sapendo dove indirizzarla. Voi e il vostro Angelo Custode portatela dove egli si trova. Padre Pio non rispose, scrissi la lettera e la poggiai, la sera, prima di andare a letto, sul comodino.
 La mattina dopo con mia grande sorpresa, stupore e quasi paura, vidi che la lettera non c'era più. Andai commossa a ringraziare il Padre che mi disse - "Ringrazia la Vergine". Dopo una quindicina di giorni in famiglia si piangeva di gioia, si ringraziava Dio e Padre Pio: era arrivata la lettera di risposta alla mia missiva da colui che si riteneva morto.
Una figlia spirituale di Padre Pio, sul bordo della strada, leggeva una lettera del Frate. Il foglio le sfuggì di mano e il vento lo fece rotolare per la discesa. Era già lontano quando si arrestò su una pietra e la signorina poté recuperarlo. 
L'indomani Padre Pio le disse: "Fate attenzione al vento la prossima volta. Se non ci avessi messo il piede sopra, la mia lettera sarebbe finita a valle".

SANNITI: le origini e la sua storia.

I Sanniti (o Sabelli) furono un antico popolo italico stanziato nel Sannio, corrispondente agli attuali territori della Campania settentrionale, dell'alta Puglia, di gran parte del Molise (tranne il tratto frentano), del basso Abruzzo e dell'alta Lucania.
I Sanniti definivano Safinim (dalla radice italica Sab-/Saf- presente anche in Sabini e Sabelli, ad esempio) il proprio territorio nazionale, e definendo se stessi col il nome di Safineis. Le differenti denominazioni a noi giunte attraverso la lingua latina si spiegano con la circostanza che in latino arcaico la /f/ intervocalica non era presente, per cui Safinim divenne per assimilazione Samnium, da cui i Romani derivarono il toponimico Samnites per designarne gli abitanti.
I Sanniti costituivano una confederazione di popoli, la Lega sannitica, e parlavano la lingua osca, una lingua indoeuropea del gruppo italico.
I Sanniti si suddividevano in quattro tribù principali: Caudini, Irpini, Pentri e Carricini.
Il territorio occupato dalla loro confederazione si espanse progressivamente, ma giunti a toccare il basso Lazio e la zona di Napoli dovettero confrontarsi con i Romani, con i quali stipularono in primo luogo un patto di amicizia nel 354 a.C., ma 11 anni dopo (343 A.C.) la città etrusca di Capua, sentendosi minacciata dai Sanniti chiese aiuto al Senato di Roma, etrusca per metà. Il Senato accettò la richiesta e i Sanniti vennero a scontrarsi duramente con gli stessi romani, in una lotta (le cosiddette tre guerre sannitiche che tanto rilievo hanno nella storiografia romana) durata ben tre secoli. Sconfissero i romani soltanto nel secondo dei tre conflitti, costringendo l'esercito a sfilare disarmato sotto ad un giogo formato da tre lance incrociate dette "forche caudine". (Battaglia delle Forche Caudine). Alla fine, nel 290 a.C. furono sconfitti e integrati forzatamente nel sistema capitolino anche mediante deportazioni di massa e distruzioni di interi villaggi. Prova di questa integrazione è l'inserimento di sanniti nella classe dirigente romana: uno dei più famosi fu, probabilmente, Ponzio Pilato, Prefetto della Giudea ai tempi di Cristo. Tuttavia ciò avvenne molto lentamente, poiché essi conservarono sempre una fiera ostilità nei confronti del dominio romano e non persero occasione di dimostrare il loro spirito di rivolta nei confronti degli oppressori: appoggiarono le guerre di Pirro, l'avanzata di Annibale, fino ricomparire sulla scena politica con Spartaco nel 71 a.C. e con Catilina nel 63 a.C. Soltanto a distanza di qualche secolo si ottenne una relativa pacificazione poiché i romani, per garantire la stabilità dei territori assoggettati nonché una valvola di sfogo contro ulteriori ribellioni, concessero lentamente la cittadinanza a tutte le popolazioni italiche.
Praticavano lotte rituali di tipo gladiatorio e secondo alcuni fonti che questa usanza fu esportata a Roma proprio dai Sanniti e non dagli Etruschi, come altri ritengono; un particolare tipo di gladiatore era detto appunto Sannita. D'altronde, molti fra i più rinomati gladiatori provenivano proprio dal Sannio e dalla Marsica. I Sanniti furono, insieme ad Annibale, le uniche figure storiche che misero realmente in dubbio il cammino romano verso la costruzione dell'impero.
SANNITI: Economia e vita quotidiana.
Nel Sannio preromano esistevano pochi centri urbani di una certa grandezza. Quella sannitica era una società rurale e le città erano costituite principalmente da capanne di pastori e pochi altri centri. Tale società, priva di un governo centrale organizzato e organizzata in comunità rurali, deve aver avuto caratteristiche servili e feudali. Le classi inferiori dipendevano economicamente dagli aristocratici, ma non sembra che la schiavitù vera e propria fosse molto estesa: il sannita medio non era uno schiavo, ma è certo che la sua era una vita di lavoro e sacrificio, alle dipendenze del signore locale.I Sanniti erano monogami, ed il divorzio consentito. Secondo Orazio il ruolo della moglie sannita era molto importante, si occupava della casa e dell'allevamento ed educazione dei figli.
I Sanniti non avevano praticamente nessuna attività connessa col mare: erano un popolo di contadini e in parte allevatori, e la loro vita era dura e frugale perché nel Sannio mancavano vallate feconde o estese. Anche le foreste dovevano avere una funzione importante nell’economia infatti vantano  dell’ottimo legname di qualità.
Importante è anche l’allevamento del bestiame  infatti venivano allevati bovini, cavalli e, presumibilmente, asini, muli, pollame, capre e maiali. Ma per i Sanniti gli animali più importanti erano le pecore, per la produzione di latte e derivati, nonché per la lana. Durante l’estate si utilizzavano pascoli situati in altura, durante l’inverno i Sanniti percorrevano con i loro greggi lunghe distanze per raggiungere zone di pascolo in pianura: è la nota pratica della transumanza. La Puglia era la principale destinazione, e i tratturi erano le vie di collegamento utilizzate nella transumanze, ancora oggi in parte rintracciabili.
L’industria locale non doveva essere molto sviluppata. La maggior parte della stoffa era tessuta in casa, e consisteva per lo più di lana tessuta dalle donne. Anche la lavorazione del metallo e altre attività artigianali erano praticate, anche se su scala relativamente ridotta. Veniva prodotta anche una certa quantità di ceramiche, per lo più oggetti di impasto semplice e qualità mediocre.



Sannio: la Dormiente tra i Monti.

DORMIENTE DEL SANNIO...
Antichissime e alte cime quelle di queste montagne beneventane, alle quali, a causa del loro profilo somigliante a quello di corpo femminile disteso, le popolazioni locali hanno da sempre dato il nome di 'Dormiente del Sannio'. Il massiccio, che culmina nelle vette del Taburno (m. 1394), Camposauro (m. 1388) e Pentime (m. 1170), si erge con versanti molto scoscesi dalla Valle del Calore, o Valle Telesina, a nord, che lo separa dal Matese, e dalla Valle Caudina a Sud, che lo separa dal Partenio, mentre a levante e a ponente digrada più dolcemente verso due corsi d’acqua minori, lo Jenga e l’Isclero. Visto dal lato est il profilo del massiccio ricorda quello di una donna sdraiata: è questo il motivo per cui è chiamato anche la Dormiente del Sannio.