lunedì 23 aprile 2012

Salerno e la sua Provincia


La provincia di Salerno (pruvincia 'e Salierno in campano)  comprende 158 comuni. Affacciata a sud-ovest sul mar Tirreno, confina a nord-ovest con la provincia di Napoli, a nord con la provincia di Avellino, ad est con la Basilicata (provincia di Potenza).
Per la vastità geografica, complessità e diversificazione del territorio, è sicuramente una delle province più varie d'Italia.
La parte a nord del capoluogo, meno estesa, si divide nella fascia della Costiera Amalfitana (la costa meridionale della penisola sorrentina, patrimonio UNESCO), verso est  si sviluppa nel punto in cui la valle dell'Irno sfocia verso il mare, sud-est troviamo la grande piana del Sele o di Paestum, a sud, oltre il Sele, le vaste aree del Cilento e del vallo di Diano, territori prevalentemente montuosi e verdeggianti di difficile accessibilità, a lungo rimasti isolati dai principali flussi di traffico, ma di grande fascino paesaggistico tanto da essere dichiarato parco nazionale e patrimonio UNESCO.
Il territorio, in prevalenza collinare, è ricco di corsi d'acqua, il principale dei quali è il fiume Sele, tra le alture di rilievo, vanno ricordate il Cervati (1898 m) e il massiccio degli Alburni col monte Panormo (1742 m), appartenenti al Subappennino lucano; il Polveracchio (1790 m) e l'Accellica (1660 m), appartenenti all'Appennino campano. Le valli di maggiore dimensione sono il vallo di Diano, la valle del Sele e la val Calore. La costa della provincia di Salerno si estende per circa 220 km, da Positano a Sapri; la morfologia della costa è estremamente varia: la parte nord è rappresentata dalla celeberrima costiera amalfitana, aspra e frastagliata, dalla quale si godono panorami unici al mondo; la parte centrale è piatta ed è caratterizzata da un'ampia ed ininterrotta spiaggia, orlata da una rigogliosa pineta, che si estende per più di 50 km da Salerno ad Agropoli, passando per Paestum; la parte sud, detta "Costiera Cilentana", si estende per circa 100 km da Agropoli a Sapri ed è caratterizzata dal continuo alternarsi di tratti aspri e rocciosi a spiagge ampie e sabbiose.
Il clima è uno dei più miti d'Italia ed è caratterizzato da inverni tiepidi e da estati calde ma non afose.
La Provincia di Salerno, quale segno distintivo, ha un proprio stemma e un proprio gonfalone. Lo stemma è costituito dalla Croce di Amalfi, nota anche come Croce di Malta; ottagona, di colore bianco su sfondo blu. Essa, con le sue punte, simboleggia le beatitudini teologali secondo San Matteo (anche Patrono della città di Salerno, capoluogo di Provincia). Lealtà, Pietà, Franchezza, Coraggio, Gloria ed onore, Disprezzo della morte, Solidarietà verso i poveri ed i malati, Rispetto per la Chiesa, l’Eternità. Con la Croce di Amalfi si intende esaltare il processo di integrazione e lo spirito di accoglienza, assistenza ed ospitalità, tipici del popolo della Provincia di Salerno, che ha saputo fissare leggi e consuetudini di grande valore per la comprensione tra uomini e popoli diversi, per il superamento delle divisioni nazionali, razziali ed ideologiche, per la tutela delle minoranze etniche e linguistiche. Il gonfalone riproduce in campo azzurro lo stemma sormontato dalla scritta semicircolare “Provincia di Salerno” e si completa con il nastro tricolore (verde, bianco e rosso) annodato al di sotto del puntale.
La città di Salerno è il capoluogo di Provincia della Campania, avendo una provincia che comprende 158 comuni e che affacciata sul Mar Tirreno, confina a nord-ovest con la provincia di Napoli, a nord con la provincia di Avellino,ad est con la Basilicata (provincia di Potenza). La parte a nord del capoluogo comprende la fascia costiera (la Costiera Amalfitana).Proseguendo verso est si trova il capoluogo,che affaccia appunto sulla piana di Paestum,da cui dista 40 chilometri. Infine, a sud, oltre il fiume Sele che attraversa l'agro,la vasta area del Cilento,che forma la Lucania storica,territorio montuoso e verdeggiante,ma di grande fascino paesaggistico perchè offre il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano.A est del capoluogo c'è l'Appennino campano e il confine con la provincia di Avellino, cui è collegata attraverso la valle dell'Irno (il fiume da cui prese probabilmente nome il capoluogo).Sempre al confine con gli appennini,verso sud,si apre il Vallo di Diano dove è possibile ammirare la Certosa di Padula e le Grotte di Pertosa.
I primi insediamenti preistorici, della provincia di Salerno conobbero un primo, formidabile sviluppo culturale ad opera di invasori orientali, Focei e Greci. I primi fondarono una città alla foce dell'Alento, oggi in territorio di Ascea, poi conosciuta come Elea e successivamente Velia, che con la successiva colonizzazione greca ospitò una delle maggiori scuole filosofiche presocratiche, la scuola Eleatica resa celebre dalle speculazioni di Parmenide e Zenone, il cui paradosso dovette aspettare il calcolo infinitesimale di Leibniz-Newton per essere confutato, più di due millenni più tardi. I secondi fondarono invece, alla foce del Sele in territorio di Capaccio, Poseidonia, oggi nota col nome romano di Paestum. Le vestigia dei suoi formidabili templi rivaleggiano in bellezza e condizioni di conservazione con quelle della Valle dei Templi di Agrigento e la Selinunte della Sicilia Occidentale, e sono tra le più importanti testimonianze architettoniche giunte fino a noi dalla Magna Grecia.
 I templi, all'epoca ancor più affascinanti perché circondati da paludi malariche, furono poi meta prediletta dei viaggiatori dell’ ottocentesco, così importante nella cultura europea, finendo per essere raffigurati (e narrati) dai maggiori artisti e letterati del tempo.
 In epoca medievale, Salerno fu centro benedettino di assoluto rilievo, e prima ancora ebbe un ruolo fondamentale e propulsivo in quel processo di renovatio imperi che portò la cultura longobarda a riproporre in Italia istituzioni e conoscenze dell'epoca romana fino a culminare nella fondazione del Sacro Romano Impero da parte di Carlo Magno, che del principe longobardo salernitano Arechi II fu cognato (avendo entrambi sposato figlie del re lombardo Desiderio). 

Salerno il lungomare più caratteristico d'Italia


Salerno  è un comune di 140.580 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia. È la seconda città della Campania per popolazione. Varie sono le ipotesi per quanto riguarda l'origine del suo nome. Salerno significasse luogo di sole, dal vocabolo greco "salos" che significa mare e da"erno" che vuol dire pianta, quasi pianta uscente dal mare. Il primo insediamento documentato sul territorio di Salerno risale al VI secolo a.C., si tratta di un centro osco-estrusco che sorgeva sul fiume Irno poco lontano dalla costa in un punto strategico per le vie di comunicazione dell'epoca. Nel V secolo a.C., con la ritirata degli etruschi dall'italia meridionale, lo stesso insediamento venne occupato dai sanniti. Nel 197 a.C. viene fondata sulla costa la colonia romana di Salernum. La città si espanse e durante l'impero di Diocleziano divenne il centro amministrativo della provincia della Lucania e del Bruzio. Nel 646 Salerno cadde in mano longobarda e divenne parte del ducato di Benevento.
 Nel 774 il principe Arechi II vi trasferì la corte e nel 839 il principato di Salerno divenne autonomo da Benevento acquisendo i territori del Principato di Capua, la Calabria e la Puglia fino a Taranto. La realtà della città era caratterizzata da un ambiente multiculturale; fra impero e papato, In questo contesto sorse intorno al IX secolo la Scuola Medica Salernitana che la tradizione vuole fondata da quattro maestri: un arabo, un ebreo, un latino ed un greco.
 La scuola fu la prima istituzione per l'insegnamento della medicina nel mondo occidentale e godè di enorme prestigio per tutto il medioevo. La città era una meta obbligata per chi volesse apprendere l'arte medica o farsi curare dai suoi celebri dottori. Questa fama valse a Salerno il titolo di Hippocratica civitas, titolo di cui ancora la città si fregia nel suo stemma in questo periodo la città visse il più florido della sua storia. Saliérno nel vernacolo locale e nei dialetti campani).  La città sorge sull'omonimo golfo del mar Tirreno, tra la costiera Amalfitana (a ovest) e la piana del Sele ed il Cilento (a sud), nel punto in cui la valle dell'Irno si apre verso il mare. 
Dal punto di vista orografico il territorio comunale è molto variegato, infatti si va dal livello del mare fino ad arrivare ai 953 metri del monte Stella.  L'abitato si sviluppa lungo la costa e si estende verso l'interno fino alle colline retrostanti.
La città è attraversata dal fiume Irno, da cui, probabilmente, deriva il suo nome. Altro corso d'acqua che scorre nel territorio comunale è il fiume Picentino, che ad oriente di Salerno separa la città stessa dalla confinante Pontecagnano Faiano.
Il clima è tipicamente mediterraneo, con inverni miti e piovosi ed estati moderatamente calde e con piogge molto scarse e spesso la città sia spesso interessata dai venti.
Lo stemma ed il gonfalone del comune di Salerno sono costituiti da uno scudo sannita troncato. 
Nella parte alta è presente San Matteo in campo azzurro, sormontato da una corona murata; l'evangelista regge con la mano destra una penna d'oca e con la sinistra il vangelo. Nella parte bassa lo stemma è fasciato d'oro e di rosso. La corona murata sulla testa di San Matteo e segno del titolo di Città di cui Salerno si può fregiare per antico diritto.
La maggioranza della popolazione è di religione cristiana, principalmente cattolica, divisa in trentanove parrocchie.
I monumenti più importanti della città… Duomo: cattedrale romanica edificata nel 1084; con i suoi mosaici e le sue tarsie policromatiche è uno dei rari esempi di architettura arabo-normanno. Raccoglie 20 secoli di arte, dai sepolcri di epoca romana alle architetture arabo-normanne, dai mosaici tardo bizantini agli affreschi del cosiddetto Paradiso Salernitano. Di particolare interesse anche la della cripta barocca, in cui sono conservate le spoglie di San Matteo Evangelista. Nella sala San Lazzaro vi è un suggestivo presepe, dipinto su sagome dal pittore Mario Carotenuto altre chiese importanti della città sono…Chiesa di San Giorgio, Chiesa di San Benedetto, Chiesa del Santissimo Crocifisso, Chiesa di San Pietro a Corte, Chiesa di Sant'Andrea della Lama, Chiesa di Santa Maria de Lama.
Molti sono anche i musei della città….Museo Archeologico Provinciale, Museo Diocesano, museo delle Ceramiche del Castello Arechi, Museo Virtuale, museo della Città Creativa, museo Roberto Papi e la Pinoteca  Provinciale.
Diversi sono i parchi urbani e le aree verdi della città, senza contare i numerosissimi giardinetti, aiuole e zone verdi che adornano diversi punti dei vari quartieri.
Il Lungomare Trieste è il più famoso, si sviluppa per 3 km circa con palme e giardini ed una gradevole passeggiata in riva al mare (progettato nel 1948, fu definito dagli Inglesi il più bel lungomare del Mediterraneo negli anni '50). Da ricordare poi Villa Comunale, Giardino della Minerva, parco del Mercatello, del Seminari, del Pinocchio, dell’Irno, Galiziano oltre poi ai Giardini dei  Mariele Ventre, del Forte La Carnale oltre poi a Villa Carrara e Villa Bracciante.

domenica 15 aprile 2012

Pietrelcina terra di Padre Pio

Padre Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione (Pietrelcina, 25 maggio 1887 – San Giovanni Rotondo, 23 settembre 1968), è stato un religioso cattolico italiano appartenente all'Ordine dei Frati Minori Cappuccini ed un sacerdote; la Chiesa cattolica lo venera come santo e ne celebra la memoria liturgica il 23 settembre, anniversario della morte.
Francesco Forgione nacque a Pietrelcina, un piccolo comune alle porte di Benevento, il 25 maggio 1887. Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di Sant'Anna. Gli venne dato il nome Francesco per desiderio della madre, devota a san Francesco d'Assisi . Il 27 settembre 1899 ricevette la comunione e la cresima dall'allora arcivescovo di Benevento,  Il giovane non frequentò le scuole in maniera regolare perché doveva rendersi utile in famiglia lavorando la terra. Solo quando ebbe dodici anni cominciò a studiare le elementari e poi passò alla scuola per gli studi ginnasiali. Il desiderio di diventare sacerdote fu sollecitato dalla conoscenza di un frate del convento di Morcone, fra' Camillo da Sant'Elia a Pianisi, Solo nell'autunno del 1902 arrivò l'assenso per entrare in convento. . Il 18 luglio del 1909 ricevette l'ordine del diaconato, nel noviziato di Morcone. Il 10 agosto fu ordinato sacerdote. 
Nonostante fosse ancora ventitreenne, il vescovo decise per un'eccezione alle disposizioni del diritto canonico che all'epoca prevedevano un'età minima per l'ordinazione di 24 anni. In tale periodo gli agiografi collocano la comparsa sulle sue mani delle stimmate( settembre 1911) La sera del 28 luglio, accompagnato da padre Paolino da Casacalenda, arrivò per la prima volta a San Giovanni Rotondo.
Nell'agosto del 1918 fra Pio affermò di aver avuto delle visioni su di un personaggio che lo avrebbe trafitto con una lancia, lasciandogli una ferita costantemente aperta (transverberazione).
Nello stesso periodo cominciarono a circolare voci secondo le quali la sua persona aveva cominciato a emanare un "inspiegabile" profumo, che non era percepito da tutti allo stesso modo: «Chi diceva di sentire profumo di rose, chi di violette, di gelsomino, di incenso, di giglio, di lavanda ecc.»
La voce della comparsa delle stigmate fece il giro del mondo e San Giovanni Rotondo divenne meta di pellegrinaggio da parte di persone che speravano di ottenere grazie. I pellegrini gli attribuirono il merito di alcune conversioni e guarigioni "inaspettate", grazie alla sua intercessione presso Dio. La popolarità di padre Pio e di San Giovanni Rotondo crebbe ancora grazie al passa-parola e la località dovette cominciare ad attrezzarsi per l'accoglienza di un numero di visitatori sempre maggiore.
La situazione divenne imbarazzante per alcuni ambienti della Chiesa cattolica: il Vaticano infatti non aveva notizie precise su cosa stesse realmente accadendo; Un primo inconcludente rapporto fu stilato dal Padre Generale dei cappuccini, il quale a sua volta aveva inviato Giorgio Festa. Questi ipotizzò una possibile origine soprannaturale del fenomeno, ma proprio il suo entusiasmo ne minò la credibilità.
Infatti, molte furono le visite a cui fu sottoposto ma tutti dichiararono che fosse solo un fenomeno di suggestione, o con un mezzo chimico, per esempio la tintura di iodio a creargli quelle macchie sul corpo e sulle mani. Nella relazione finale trasmessa alla Santa Sede monsignor Rossi si dimostrò scettico riguardo i presunti prodigi che le convinzioni popolari attribuivano al cappuccino , ma nonostante tutta la chiesa lo aveva condannato…la gente comune e personaggi famosi accorrevano sempre di più a San Giovanni Rotondo…in  quel periodo il superiore locale di padre Pio, padre Rosario da Aliminusa (al secolo Francesco Pasquale, 1914-1983), testimoniò che padre Pio non venne mai meno ai suoi doveri d'obbedienza; ne mise inoltre in risalto il rigore teologico. Nel 1964, il nuovo Papa Paolo VI concesse personalmente ma ufficiosamente a Padre Pio da Pietrelcina l'Indulto (reintegro) per continuare a celebrare, anche pubblicamente, la Santa Messa secondo il rito di San Pio V.
Padre Rosario da Aliminusa, inoltre, in relazione alla nomina - da parte della Santa Sede - di padre Clemente da Santa Maria in Punta quale amministratore apostolico destinato a gestire la situazione giuridico-economica dei beni della Casa Sollievo della Sofferenza, fu nominato procuratore generale dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, una delle massime cariche dell'ordine, incaricato, per la funzione, di mantenere i rapporti tra l'Ordine e la Santa Sede, cosa questa che favorì una ricomposizione della frizione che stava insorgendo in relazione alla gestione dei beni e delle donazioni: padre Pio istituì nel suo testamento la Santa Sede quale legataria di tutti i beni della Casa Sollievo della Sofferenza. Alle ore 2:30 del mattino di lunedì 23 settembre 1968 Padre Pio morì all'età di 81 anni. Ai suoi funerali parteciparono più di centomila persone giunte da ogni parte d'Italia.
Il 6 gennaio 2008 il vescovo Domenico D'Ambrosio annunciò durante la messa nel santuario di Santa Maria delle Grazie che nel mese di aprile 2008 il corpo di Padre Pio sarebbe stato riesumato per una ricognizione canonica con l'esposizione alla pubblica venerazione sino al mese di settembre 2009 in vista del quarantesimo anniversario della sua morte. Nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2008 è stata riaperta la bara che contiene il cadavere di san Pio. Secondo le dichiarazioni del locale arcivescovo le unghie e il mento erano ben conservati pur essendo trascorsi quarant'anni dalla sua morte, ma non sono rese state pubbliche fotografie.
Dal 24 aprile 2008 al 23 settembre 2009 a San Giovanni Rotondo è stata esposta la salma di Padre Pio, all'interno di una teca di cristallo costruita appositamente. Essa in realtà è stata poco visibile: il volto, conservato solo nella parte inferiore, è talmente decomposto da essere stato ricoperto da una maschera di silicone che ne riproduce le sembianze. La salma poggia su un piano di plexiglas forato e rivestito di tessuto. Al di sotto ci sono due contenitori in pvc pieni di gel di silice per la regolazione dell’umidità. Nella teca è stato immesso azoto per evitare ulteriori decomposizioni. Il 23 settembre 2009, nell'anniversario della morte, si è conclusa l'esposizione della salma con una solenne cerimonia.
Il 19 aprile 2010 la salma di San Pio è stata traslata nella cripta della nuova Chiesa di Padre Pio, decorata con i mosaici del sacerdote gesuita sloveno Marko Ivan Rupnik e con il soffitto ricoperto di foglia oro, ricavato dalla fusione degli ex-voto che i fedeli negli anni hanno donato a San Pio. Tuttavia, l'inaugurazione di una siffatta cripta è stata contrassegnata da forti polemiche, sia da parte del mondo laico che da parte degli stessi cattolici, in quanto un tale sfarzo è decisamente contrario agli ideali dell'Ordine Francescano (al quale Padre Pio apparteneva) improntati all'umiltà e alla povertà.


                                                      

Gastronomia del Sannio Riso con il latte

Riso con il latte...

Ingredienti:  1 lt di latte, 200 gr. di riso, 200 gr. di zucchero, 50 gr. di burro, cannella in polvere e zucchero a velo.

Procedimento:  in un a pentola versare il latte e portare ad ebollizione. Prima che si formi la schiuma calare il riso e lasciare cuocere lentamente. Quando il riso risulterà cotto unire lo zucchero. Amalgamare leggermente e togliere la pentola dal fuoco. Lasciar riposare. Versare su di un un piatto da portata e cospargere, con un colino, la cannella mista allo zucchero a velo.

Gastronomia Sannita il Pane di Saragolla

La saragolla è un'antica varietà di grano duro, ancora oggi coltivata nelle aree interne del Sannio, in provincia di Benevento, da cui prende il nome un pane di segale prodotto in questa zona, caratterizzato da una mollica giallo paglierino particolarmente morbida e da una crosta molto croccante. La sua produzione è molto antica ed è rimasta invariata negli anni: si ottiene aggiungendo la semola al criscito, il lievito ottenuto dalla pasta acida della lavorazione precedente. La massa viene, poi, tenuta al caldo per tutta la notte a lievitare e poi impastata di nuovo con l'aggiunta di altra semola, acqua, lievito di birra e sale. In seguito awiene la seconda lievitazione che dura circa 3-4 ore. Si procede, al termine della lavorazione, alla formazione di pagnotte rotonde, che vengono segnate con tagli trasversali e poi infornate nel forno a legna. Oltre ad essere consumato quotidianamente, grazie al suo sapore deciso, il pane di saragolla è particolarmente indicato come base su cui provare l'olio nuovo e le numerose tipologie di formaggi e salumi prodotti nella zona.

Gastrononia Sannita il croccantino

San Marco dei Cavoti è un comune del Beneventano che vede il suo nome legato a quello della produzione di un gustosissimo torrone, molto croccante e ricoperto di cioccolato fondente detto, per l’appunto Croccantino di San Marco dei Cavoti.
Si ottiene disponendo nella torroniera il miele e lo zucchero e riscaldandola fino a 80 gradi.
La torroniera viene fatta girare a marcia veloce e si aggiunge l’albumina sciolta in acqua, preparata il giorno precedente; in seguito si riporta la torroniera alla velocità minima e si aggiungono, spolverando, lo zucchero a velo, la vaniglia e le mandorle opportunamente preriscaldate in modo che abbiano la stessa temperatura dell’impasto.
Il prodotto viene steso negli appositi stampi, e poi tagliato quando è raffreddato al punto giusto.
Anche il torrone croccantino viene prodotto da numerose aziende del Beneventano che rispettano le antiche regole tradizionali di produzione ma hanno esportato il prodotto fuori dai confini regionali, rendendolo una prelibatezza che si può gustare in tutta Italia.
Il Croccantino di San Marco dei Cavoti è ormai il simbolo della creatività imprenditoriale di questo territorio, dove i maestri torronai hanno saputo derivare dal “torrone croccante”, anticamente realizzato dalle massaie campane, una delicata prelibatezza, nota agli estimatori come squisito peccato di gola.

Benevento La fontana Chiaromonte

Creato nel 1806 principe di Benevento, Progettata dall'architetto Nicola Colle De Vita, è costituita da una vasca circolare al cui centro si erge un obelisco, sulla schiena di quattro leoni dalla cui bocca sgorga l'acqua. L'obelisco era sormontato da un globo con sopra l'aquila imperiale, emblema della Francia napoleonica, in bronzo. Alla facciata meridionale dell'obelisco si leggeva l'iscrizione: Carolo Maurizio / Optimo Principi / Pro publico curato bono Cives Beneventani / D. /A. MDCCCIX. La realizzazione dell'opera costò 2.000 ducati. La piazza, dedicata al Talleyrand (il suo nome era piazza Carlo Maurizio), fu donata dal principe al Comune con atto pubblico, il 21 aprile 1810.
Dopo il 1815, con l'avvento della Restaurazione, l'epigrafe fu poi raschiata via, anche se qualche traccia si scorgeva sotto la scritta Fontana Chiaromonte - 
Pio VII con cui la fontana fu dedicata al Papa (la parola fontana, invece che col t, era stata incisa incisa col d; fu corretta in seguito). All'aquila imperiale venne sostituito il triregno dei papi con le somme chiavi e, successivamente, questo fu sostituito con lo stemma d'Italia.

Benevento e il liquore Strega

Il Liquore Strega, è tra i più famosi liquori italiani, unico e inconfondibile per il suo sapore, grazie all’esclusivo uso di ingredienti naturali.
Dal gusto fine e vellutato, il Liquore Strega è amato per la sua versatilità che lo rende ideale in ogni momento della giornata. Può essere apprezzato liscio o ghiacciato, sulla frutta o unito a dessert, gelati o cioccolata calda e costituisce anche la base di molti famosi e raffinati cocktails.
La ricetta per la produzione dello Strega è segreta.
È conosciuta solo da poche persone che preparano gli ingredienti numerandoli e riponendoli in cassetti di legno, gli operai che poi preparano la miscela delle 70 erbe e spezie, che vengono selezionate da tutto il mondo, e caratterizzate ciascuna da particolari proprietà organolettiche ne sanno solo i quantitativi degli ingredienti numerati ma non ne conoscono la natura.
Il suo caratteristico colore giallo deriva dall'aggiunta del prezioso zafferano al distillato di erbe aromatiche.
Il liquore Strega,viene stagionato per un lungo periodo in tini di rovere per ottenere una perfetta sintesi di tanti differenti aromi, ricavando così un distillato dalla gradazione di 40%vol. E’ solo dopo il completamento di questa stagionatura che il liquore viene imbottigliato e distribuito in tutto il mondo.
Il suo nome deriva evocando l’antica leggenda  che nel 1860  narra la città di Benevento quale ritrovo di tutte le streghe del mondo,che intorno ad una antica noce si riunirono per ballare e bere una bevanda dai poteri magici...questa bevanda si presume che fosse questo liquore, da qui nasce Il liquore Strega.

Apollosa fra la sagra del maialetto e antiche tradizioni

Apollosa è un comune italiano di 2.716 abitanti della provincia di Benevento in Campania.
La città si trova sulla destra della vecchia via Consolare, che da Benevento va nella valle Caudina.
Nacque forse in epoca romana lungo la via Appia. Secondo lo storico Alfonso Meomartini la forma originale del nome fu "La pelosa", "Lapillosa", "Pellosa", "Pelusia", "Lapelusa", "Apellosa" ed infine "Apollosa".
L'abitato sorse sulla cima di una piccola collina che dominava la via (in località "Terravecchia", dove prima della prima guerra mondiale si trovavano un mulino, la "Taverna del Passo" e una cappella dedicata a San Domenico.
L'iscrizione di Turpilio del VI secolo la cita come urbs ("città").
Sotto i Normanni fu in possesso dei baroni di Fenucchio, della chiesa di Santa Sofia a Benevento, ai Frangipane, ai Della Leonessa.
Nel 1460 era in possesso alla famiglia dei Della Leonessa: avendo questi parteggiato per Giovanni d'Angiò, il re di Napoli Ferdinando I distrusse l'abitato e questo fu in seguito spostato nella sede attuale.
In seguito il feudo fu ancora in possesso dei Caracciolo, dei Ricca, dei Piscicelli, degli Spinelli e dei Langellotti.
Vi è stato rinvenuta una colonna miliare della via Appia, datata al 203 (Settimio Severo).
Si conservano i ruderi dell'antico castello e un palazzo baronale.
Le chiese di interesse sono quelle di Santa Maria Assunta, di San Giuseppe e di San Giovanni.
Nel territorio comunale si producono: ulivo, vite, frumento, legumi, foraggi, frutta, legname.
Apollosa dista dal capoluogo di provincia circa 10 km.
Il comune ha una superficie agricola utilizzata in ettari (ha) di 477,45
Ad Apollosa a metà Settembre si rinnova ogni anno l’appuntamento con la tradizionale Sagra del Maialetto organizzata dalla Pro Loco di Apollosa.
 Gli stand gastronomici proporranno succulenti pietanze preparate secondo antiche ricette: tagliatelle al sugo di maiale, cosciotti e filetti di maiale al forno, carne arrostita, salsicce, prosciutti e salami paesani a cui accostare ottimi vini della zona come l’Aglianico, la Falanghina e la Coda di Volpe.
Il protagonista della serata sarà il gustoso maialetto al forno preparato da personale qualificato secondo la tradizionale ricetta locale. Dopo la fase di macellazione i maialetti vengono tenuti in celle frigorifere per la
necessaria frollatura. Trascorse 24 ore vengono trasportati in una sala attrezzata, dove vengono lavati accuratamente con acqua e aceto di vino per prepararli alla successiva salatura e profumazione con spezie aromatiche. Dopodiché il maialetto viene sistemato in speciali teglie da forno per la successiva cottura. La manifestazione sarà allietata da spettacoli musicali e verranno allestiti stand per l'esposizione e la vendita di oggetti d'arte e di artigianato sannita.
“Una celebrazione incentrata unicamente attorno al sentimento religioso è la festa patronale di Sant'Anna che si festeggia il 26 luglio.
Dopo cento anni, con il simulacro di S. Anna si ripercorrono le vie del paese come nel 1911 quando lo stesso simulacro fu portato in processione per sconfiggere il colera: un miracolo sempre vivo nella memoria apollosana.
Nel 1911 il colera colpiva la provincia di Benevento; la prima vittima ad Apollosa ci fu l’8 Agosto e quando i 26, 27, 28 e 29, i decessi si erano accentuati, la mattina stessa del 29 Agosto gli Apollosani si affidarono alla Santa Protettrice, alla Sua intercessione verso Dio, con fede La portarono per le strade del paese, con fede riconobbero, alla Sua intercessione e non al caso, il cessare improvviso delle morti.
Questo è quanto gli annali raccontano, questo è quanto la memoria apollosana ci tramanda, questo è motivo di orgoglio, di commozione e di fede ad ogni ricorrenza ed in particolar modo in questa ricorrenza del centenario. I preparativi per questa particolare ricorrenza, da tempo evidenti in parrocchia, si avvertono in tutto il paese.
Un interessamento sempre crescente guidato dal parroco Don Vincenzo Capozzi.

Padre Pio e i suoi miracoli

Si definisce miracolo (dal latino «miraculum», cosa meravigliosa) un evento a volte attestato, a volte asserito, difficilmente spiegabile secondo cause conosciute, e quindi attribuito a qualche causa paranormale, e specificamente ad un intervento soprannaturale o divino, e che appare svolgersi in contrasto con le leggi naturali. Nel linguaggio comune, per estensione, il termine miracolo indica anche un evento straordinario, che desta meraviglia. Nel Cristianesimo la definizione tecnica di "miracolo" è quella di "interruzione della legge naturale ad opera di un intervento divino;
per questo motivo appare vano e riduttivo cercare di spiegare i veri miracoli con spiegazioni scientifiche o pseudo-tecniche, perché essi sono di fatto non spiegabili secondo le leggi scientifiche.
I miracoli hanno accompagnato Padre Pio da Pietrelcina nel corso della sua vita. Padre Pio invitava sempre i miracolati a ringraziare il Signore quale unica fonte delle grazie ricevute.
Ecco alcuni miracoli riconosciuti dalla Chiesa…
Risale al 1908 quello che fu definito uno dei primi miracoli di Padre Pio. Trovandosi nel convento di Montefusco, fra Pio pensò di andare a raccogliere un sacchetto di marroni da mandare alla zia Daria, a Pietrelcina, che gli aveva sempre dimostrato un grande affetto. La donna ricevette le castagne, le mangiò e conservò il sacchetto per ricordo.
Qualche tempo dopo, una sera, facendosi luce con una lampada ad olio, zia Daria andò a rovistare in un cassetto dove il marito custodiva la polvere da sparo. Una scintilla appiccò il fuoco ed il cassetto esplose investendo la donna in pieno volto. Urlando di dolore zia Daria prese dal comò il sacchetto che aveva contenuto le castagne di fra Pio e lo pose sul viso nel tentativo di porre sollievo alle ustioni. Immediatamente il dolore scomparve e sul volto della donna non restò alcun segno delle bruciature.
La signora Cleonice - figlia spirituale di Padre Pio raccontava: - "Durante l'ultima guerra mio nipote fu fatto prigioniero. Non ricevemmo notizie per un anno. Tutti lo credevano morto. I genitori impazzivano dal dolore.
 Un giorno la madre si butto ai piedi di Padre Pio che stava in confessionale - ditemi se mio figlio è vivo. Io non mi tolgo dai vostri piedi se non me lo dite. - Padre Pio si commosse e con le lacrime che gli rigavano il volto disse - "Alzati e vai tranquilla". Alcuni giorni dopo, il mio cuore, non potendo sopportare il pianto accorato dei genitori, mi decisi di chiedere al Padre un miracolo, piena di fede gli dissi: - "Padre io scrivo una lettera a mio nipote Giovannino, con il solo nome, non sapendo dove indirizzarla. Voi e il vostro Angelo Custode portatela dove egli si trova. Padre Pio non rispose, scrissi la lettera e la poggiai, la sera, prima di andare a letto, sul comodino.
 La mattina dopo con mia grande sorpresa, stupore e quasi paura, vidi che la lettera non c'era più. Andai commossa a ringraziare il Padre che mi disse - "Ringrazia la Vergine". Dopo una quindicina di giorni in famiglia si piangeva di gioia, si ringraziava Dio e Padre Pio: era arrivata la lettera di risposta alla mia missiva da colui che si riteneva morto.
Una figlia spirituale di Padre Pio, sul bordo della strada, leggeva una lettera del Frate. Il foglio le sfuggì di mano e il vento lo fece rotolare per la discesa. Era già lontano quando si arrestò su una pietra e la signorina poté recuperarlo. 
L'indomani Padre Pio le disse: "Fate attenzione al vento la prossima volta. Se non ci avessi messo il piede sopra, la mia lettera sarebbe finita a valle".

SANNITI: le origini e la sua storia.

I Sanniti (o Sabelli) furono un antico popolo italico stanziato nel Sannio, corrispondente agli attuali territori della Campania settentrionale, dell'alta Puglia, di gran parte del Molise (tranne il tratto frentano), del basso Abruzzo e dell'alta Lucania.
I Sanniti definivano Safinim (dalla radice italica Sab-/Saf- presente anche in Sabini e Sabelli, ad esempio) il proprio territorio nazionale, e definendo se stessi col il nome di Safineis. Le differenti denominazioni a noi giunte attraverso la lingua latina si spiegano con la circostanza che in latino arcaico la /f/ intervocalica non era presente, per cui Safinim divenne per assimilazione Samnium, da cui i Romani derivarono il toponimico Samnites per designarne gli abitanti.
I Sanniti costituivano una confederazione di popoli, la Lega sannitica, e parlavano la lingua osca, una lingua indoeuropea del gruppo italico.
I Sanniti si suddividevano in quattro tribù principali: Caudini, Irpini, Pentri e Carricini.
Il territorio occupato dalla loro confederazione si espanse progressivamente, ma giunti a toccare il basso Lazio e la zona di Napoli dovettero confrontarsi con i Romani, con i quali stipularono in primo luogo un patto di amicizia nel 354 a.C., ma 11 anni dopo (343 A.C.) la città etrusca di Capua, sentendosi minacciata dai Sanniti chiese aiuto al Senato di Roma, etrusca per metà. Il Senato accettò la richiesta e i Sanniti vennero a scontrarsi duramente con gli stessi romani, in una lotta (le cosiddette tre guerre sannitiche che tanto rilievo hanno nella storiografia romana) durata ben tre secoli. Sconfissero i romani soltanto nel secondo dei tre conflitti, costringendo l'esercito a sfilare disarmato sotto ad un giogo formato da tre lance incrociate dette "forche caudine". (Battaglia delle Forche Caudine). Alla fine, nel 290 a.C. furono sconfitti e integrati forzatamente nel sistema capitolino anche mediante deportazioni di massa e distruzioni di interi villaggi. Prova di questa integrazione è l'inserimento di sanniti nella classe dirigente romana: uno dei più famosi fu, probabilmente, Ponzio Pilato, Prefetto della Giudea ai tempi di Cristo. Tuttavia ciò avvenne molto lentamente, poiché essi conservarono sempre una fiera ostilità nei confronti del dominio romano e non persero occasione di dimostrare il loro spirito di rivolta nei confronti degli oppressori: appoggiarono le guerre di Pirro, l'avanzata di Annibale, fino ricomparire sulla scena politica con Spartaco nel 71 a.C. e con Catilina nel 63 a.C. Soltanto a distanza di qualche secolo si ottenne una relativa pacificazione poiché i romani, per garantire la stabilità dei territori assoggettati nonché una valvola di sfogo contro ulteriori ribellioni, concessero lentamente la cittadinanza a tutte le popolazioni italiche.
Praticavano lotte rituali di tipo gladiatorio e secondo alcuni fonti che questa usanza fu esportata a Roma proprio dai Sanniti e non dagli Etruschi, come altri ritengono; un particolare tipo di gladiatore era detto appunto Sannita. D'altronde, molti fra i più rinomati gladiatori provenivano proprio dal Sannio e dalla Marsica. I Sanniti furono, insieme ad Annibale, le uniche figure storiche che misero realmente in dubbio il cammino romano verso la costruzione dell'impero.
SANNITI: Economia e vita quotidiana.
Nel Sannio preromano esistevano pochi centri urbani di una certa grandezza. Quella sannitica era una società rurale e le città erano costituite principalmente da capanne di pastori e pochi altri centri. Tale società, priva di un governo centrale organizzato e organizzata in comunità rurali, deve aver avuto caratteristiche servili e feudali. Le classi inferiori dipendevano economicamente dagli aristocratici, ma non sembra che la schiavitù vera e propria fosse molto estesa: il sannita medio non era uno schiavo, ma è certo che la sua era una vita di lavoro e sacrificio, alle dipendenze del signore locale.I Sanniti erano monogami, ed il divorzio consentito. Secondo Orazio il ruolo della moglie sannita era molto importante, si occupava della casa e dell'allevamento ed educazione dei figli.
I Sanniti non avevano praticamente nessuna attività connessa col mare: erano un popolo di contadini e in parte allevatori, e la loro vita era dura e frugale perché nel Sannio mancavano vallate feconde o estese. Anche le foreste dovevano avere una funzione importante nell’economia infatti vantano  dell’ottimo legname di qualità.
Importante è anche l’allevamento del bestiame  infatti venivano allevati bovini, cavalli e, presumibilmente, asini, muli, pollame, capre e maiali. Ma per i Sanniti gli animali più importanti erano le pecore, per la produzione di latte e derivati, nonché per la lana. Durante l’estate si utilizzavano pascoli situati in altura, durante l’inverno i Sanniti percorrevano con i loro greggi lunghe distanze per raggiungere zone di pascolo in pianura: è la nota pratica della transumanza. La Puglia era la principale destinazione, e i tratturi erano le vie di collegamento utilizzate nella transumanze, ancora oggi in parte rintracciabili.
L’industria locale non doveva essere molto sviluppata. La maggior parte della stoffa era tessuta in casa, e consisteva per lo più di lana tessuta dalle donne. Anche la lavorazione del metallo e altre attività artigianali erano praticate, anche se su scala relativamente ridotta. Veniva prodotta anche una certa quantità di ceramiche, per lo più oggetti di impasto semplice e qualità mediocre.



Sannio: la Dormiente tra i Monti.

DORMIENTE DEL SANNIO...
Antichissime e alte cime quelle di queste montagne beneventane, alle quali, a causa del loro profilo somigliante a quello di corpo femminile disteso, le popolazioni locali hanno da sempre dato il nome di 'Dormiente del Sannio'. Il massiccio, che culmina nelle vette del Taburno (m. 1394), Camposauro (m. 1388) e Pentime (m. 1170), si erge con versanti molto scoscesi dalla Valle del Calore, o Valle Telesina, a nord, che lo separa dal Matese, e dalla Valle Caudina a Sud, che lo separa dal Partenio, mentre a levante e a ponente digrada più dolcemente verso due corsi d’acqua minori, lo Jenga e l’Isclero. Visto dal lato est il profilo del massiccio ricorda quello di una donna sdraiata: è questo il motivo per cui è chiamato anche la Dormiente del Sannio.

Benevento la leggenda delle streghe

La "città delle streghe" « Sotto l'acqua e sotto u viento, Sotto a noce e Beneviento »


Benevento è comunemente nota come la "città delle streghe" (o, più propriamente, delle janare). La fama, consolidatasi grazie al libro “De nuce maga beneventana” del protomedico Pietro Piperno, è dovuta con tutta probabilità ai riti pagani che i longobardi svolgevano nei pressi del fiume Sabato: alcune donne urlanti saltavano intorno ad un albero di noce leggenda che, ai tempi in cui operava la Santa Inquisizione, fu causa di persecuzioni ed esecuzioni capitali.
Più tardi i dominatori capirono che era molto più conveniente accettare la religione dei beneventani. Questa valutazione politica, forse ancor più della perseveranza di San Barbato, portò dunque i nuovi padroni a convertirsi nel 664. Ciò garantì una lunga e stabile prosperità alla città e ai suoi governanti, e portò all'abbattimento dell'albero sacro da parte di San Barbato. In questo luogo egli fece erigere un tempio intitolato a Santa Maria in voto. C'è da aggiungere che San Barbato, purtroppo, si rese promotore anche di un piccolo-grave attentato ecologico perché abbatté, in preda al furore iconoclasta, il Noce magico: le donne invasate, dunque, sparirono fisicamente da Benevento, ma, in compenso, la loro leggenda divenne eterna.

Benevento capoluogo del Sannio

Benevento (Ben-viént in dialetto beneventano, Beneventum in Latino) è un comune italiano di 61.723 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia in Campania.
Città sannitica, romana, longobarda e poi pontificia, Benevento vanta un cospicuo patrimonio storico-artistico e un interessante patrimonio archeologico.
La chiesa di Santa Sofia edificata nel 760 dal duca longobardo Arechi II è entrata a far parte del patrimonio UNESCO all'interno del sito seriale Longobardi in Italia i luoghi del potere.
Territorio
Panorama di Benevento, con la Dormiente del Sannio sullo sfondo
La città si trova nell'entroterra appenninico della Campania, nella parte meridionale della regione storica del Sannio, in una posizione quasi equidistante dai mari Tirreno e Adriatico.
È posta in una conca circondata da colline; ad ovest in particolare, oltre la Valle Vitulanese, si trova il massiccio del Taburno Camposauro: le sue cime, viste dalla città, disegnano la sagoma di una donna distesa, la Dormiente del Sannio.




ARCO TRAIANO
È non solo il massimo monumento della città, ma uno dei migliori esemplari dell'arte traianea ed il più insigne arco onorario romano. Ha un solo fornice. Fu eretto, come attesta l'iscrizione ripetuta sull'attico delle due fronti, dal senato e dal popolo romano nel 114 all'inizio della nuova via Traiana, per ricordare ed esaltare il governo dell'optimus princeps, e terminato nel 117. I piloni sono decorati con bassorilievi; in particolare la faccia dei piloni rivolta verso la città presenta scene di pace, l'altra scene militari.
L'Arco fu inserito nel Medioevo nella cinta di mura della città, della quale costituì la Porta Aurea. Alto 15,60 metri, con fornice di oltre 8 metri, ha una ossatura costituita da massi di calcare ed un rivestimento di marmo.
TEATRO ROMANO
Il nuovo prevalere, sulla severa arte traianea, delle correnti elleniche promosse da Adriano trovò in Benevento il suo documento aulico nel grandioso Teatro, dalla scena che si stagliava preziosa di marmi policromi verso il virgiliano Taburno, dalla cavea candida e luminosa, dagli atri scintillanti di mosaici e di stucchi. Fu costruito sotto l'imperatore Adriano (inaugurato nel 126) ed ingrandito da Caracalla tra il 200 e 210. Realizzato in opus latericium, ricorda il Teatro di Marcello di Roma. Fu abbandonato in epoca longobardo, utilizzato come fondazione per alcune abitazioni e interrato. Inoltre nel XVIII secolo ad una navata fu costruita la chiesa di Santa Maria della Verità. Grazie ai lavori iniziati dall'archeologo Almerico Meomartini, poi interrotti con il terremoto del 1930 e continuati soltanto dopo la seconda guerra mondiale, fu riaperto al pubblico solamente nel 1957. Misura 90 metri di diametro e può contenere circa 10.000 spettatori. Si è perso gran parte del rivestimento marmoreo; sono giunti fino a noi la cavea, la scena, il primo e parte del secondo dei tre ordini di arcate.
CHIESA SANTA SOFIA
La chiesa di Santa Sofia è un edificio longobardo che risale circa al 760, di piccole proporzioni: si può circoscrivere con una circonferenza di diametro 23,50 m. Si tratta di una delle chiese più importanti della Langobardia Minor giunta fino ai giorni nostri, notevole soprattutto per la sua originalissima pianta stellare e la disposizione anomala dei pilastri e delle colonne (un esagono circondato da un decagono).
Fu quasi completamente distrutta dal terremoto del 1688 e ricostruita in forme barocche per volere dell'allora cardinale Orsini di Benevento (poi divenuto papa Benedetto XIII). Le forme originarie furono nascoste, e furono riscoperte solo con il discusso restauro del 1951.
La chiesa è parte di un più ampio complesso monumentale di cui fanno parte l'ex monastero, ora sede del Museo del Sannio, il campanile settecentesco e la fontana al centro della piazza, che si affaccia sul Corso Garibaldi. L'insieme fa parte del sito seriale "Longobardi in Italia: i luoghi del potere", comprendente sette luoghi densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell'arte longobarda, inscritto alla Lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco nel giugno 2011.
ROCCA DEI RETTORI
Il castello di Benevento, meglio conosciuto come Rocca dei Rettori, si trova nel punto più elevato della città, a dominare le valli dei fiumi Sabato e Calore, e le due importanti e antiche via Appia e via Traiana. Il sito era già stato utilizzato dai Sanniti, che vi avevano costruito una serie di terrazzi difensivi, e dai Romani, che vi costruirono un edificio termale (Castellum aquae), i cui resti possono ancora essere visti nel giardino del castello. I benedettini vi ebbero un monastero. La Rocca ricevette il nome attuale nel Medioevo, quando divenne sede dei governatori per conto del papa, i Rettori.
Il castello è di fatto costituito da due edifici distinti: il Torrione, costruito dai Longobardi a partire dall'871, e il Palazzo dei Governatori, costruito dai papi a partire dal 1320.
DUOMO
Sorto nel 780, fu ampliato nel XII secolo: a quell'epoca risale la facciata in stile romanico pisano, a tre portali, sormontate da un ordine di arcate e da una loggia. Il massiccio campanile in stile gotico è invece del 1280. Nel XVIII secolo il Duomo fu ulteriormente arricchito. Fu quasi completamente distrutto durante i bombardamenti alleati del 1943: ne rimasero soltanto il campanile, la facciata e la Cripta con i suoi affreschi, nonché la porta di bronzo del XII secolo, la Janua Major, composta da 72 formelle con bassorilievi (citata tra l'altro nel film Hannibal con Anthony Hopkins), recentemente restaurata. Il Duomo attuale, ricostruito nel dopoguerra, ha 5 navate. Sono in corso lavori di ripristino dell'aspetto antecedente la distruzione del 1943.

Benevento e i suoi vini

Benevento è la dispensa del vino campano: questa magnifica provincia, ricca di verde e facile da percorrere in lungo e in largo, produce da sola oltre la metà del prodotto doc e igt dell'intera regione.
Benevento è dunque la grande risorsa del vino campano: qualità in crescita, quantità necessaria per competere su grandi numeri, diversificazione del prodotto, tradizione. Non a caso è l'unica provincia già dotata di una naturale strada enoturistica.
Aglianico  Falanghina  Coda di volpe Fiano Greco Piedirosso  Sciascinoso.
Ecco alcuni vini prodotti nel sannio: Aglianico,  Falanghina,  Coda di volpe,  Fiano,  Greco,  Piedirosso e Sciascinoso.
Aglianico (anticamente per i Romani Hellenico) è l’uva rossa da cui si produceva e si produce anche il Falerno. Oggi intorno al Monte Taburno si possono apprezzare le diverse interpretazioni di questo importante vino rosso, corposo, pieno di carattere e molto portato all’invecchiamento in botte.
Falanghina è un’uva a buccia bianca pure anticamente di casa in queste zone come sulla costa. I migliori produttori la vinificano in purezza e ne ricavano vini dal fruttato all’aromatico a seconda dell’uso di affinamento in legno.



Piedirosso e Coda di Volpe sono altri due vitigni (rosso e bianco come i nomi suggeriscono) che da cui si traggono in questa zona vini da gustare.

Benevento con l'olio e i suoi odori

L'olio del Sannio Beneventano
La produzione di olio d'oliva ha, in Campania e nella provincia di Benevento, origini che si collegano agli insediamenti delle prime colonie della Magna Grecia, per le quali l'ulivo era simbolo di pace e di benessere, tanto da essere considerato sacro.
Apice, Apollosa, Castelvenere, Cerreto Sannita, Guardia Sanframondi, Montesarchio, Morcone, Pannarano, Paupisi, Pietrelcina, Pontelandolfo, Reino, San Leucio del Sannio, San Lorenzello, San Lorenzo Maggiore, San Lupo, San Marco dei Cavoti, San Nicola Manfredi, Tocco Caudio e Vitulano sono i centri in cui si produce olio raffinato e gustoso…
Tra le coltivazioni d’olivo più diffuse nel Sannio,  troviamo: Ortice, Femminella, Ortolana, Racioppella.
L'Ortice, largamente diffusa in tutto il Sannio, dotata di una buona resistenza la freddo, per cui la troviamo maggiormente in zona di media ed alta collina, si caratterizza per il suo frutto molto grande, di forma allungata che trova localmente impiego come olive da tavola. La pianta ha uno sviluppo medio, con grande chioma, con foglie piccole di colore verde chiaro. Il frutto è di colore verde, mentre a maturazione diventa violaceo, la polpa è di colore bianco latteo.
L'Ortolana, insieme alla racioppella e femminella, costituiscono le cultivar caratteristiche delle zone collinari dominanti la Valle Telesina. La pianta ha uno sviluppo medio, con foglie lanceolate grandi di colore verde scuro. Il frutto è grande, quasi sferico, a maturazione tende al violaceo; la polpa è di colore bianco e facilmente si distacca dal nocciolo, per cui viene anche utilizzata come uliva da tavola: infatti, localmente viene chiamata Oliva per l'acqua.

La Racioppella, a differenza delle altre cultivar a duplice attitudine (sia da olio che da tavola) è la tipica varietà da olio; insieme all'ortolana e femminella, costituiscono le cultivar caratteristiche delle zone collinari dominanti la Valle Telesina, particolarmente diffusa grazie alla sua produttività ed alla particolare resistenza sia alle avversità atmosferiche che agli attacchi dei parassiti. La pianta ha uno sviluppo medio, con foglie lanceolate strette di colore verde scuro. I frutti sono piccoli e ovali, di dimensioni varie e diverso grado di maturazione, riuniti a grappoli, con colori vari che vanno dal verde chiaro al viola, con polpa bianca.
La Femminella, insieme alla racioppella ed all'ortolana, costituiscono le cultivar caratteristiche delle zone collinari dominanti la Valle Telesina. La pianta ha un grande sviluppo, con foglie medie lanceolate di colore verde scuro. Il frutto è medio, di forma ovoidale, a maturazione ha un colore rosso vinoso scuro, tendente al nero, come pure la polpa che facilmente si distacca dal nocciolo; viene anche consumata direttamente, in salamoia o essiccata.